Nasce T.W.S.O. – Total Wushu & Sanda Organization

Nel panorama delle arti marziali e sport da combattimento, spicca una nuova sigla: T.W.S.O.

T.W.S.O. è l’acronimo di Total Wushu & Sanda Organization, nuova realtà per il panorama delle arti marziali cinesi che ha come scopo la diffusione del Wushu e del Sanda in Italia attraverso l’organizzazione di eventi culturali, gare e manifestazioni senza naturalmente tralasciare corsi per istruttori ed arbitri riconosciuti su tutto il territorio.

In Italia, grazie alla collaborazione con I.A.K.S.A., l’organizzazione si prefigge di massimizzare la diffusione della disciplina, puntando in modo particolare allo sviluppo del settore giovanile, dove, grazie allo sviluppo di un programma ad hoc, si rende possibile anche una collaborazione ottimale con altri sport da combattimento, aprendo così le porte a tutte le discipline praticate all’interno di I.A.K.S.A.

Per maggiori informazioni, vi rimandiamo al sito ufficiale T.W.S.O.

La psicologia nello sport

La competizione è senza dubbio un aspetto particolarmente importante in quanto, se da un lato esiste un contesto esterno che ne stimola l’emersione, dall’altro è anche vero che la valutazione individuale che ne viene fatta, varia notevolmente in funzione della soggettività del singolo atleta.

– Dottor Fabio Ciuffini (psicologo)-

Giusto qualche giorno fa alla radio ho sentito un’intervista  ad uno psicologo che segue i più grandi atleti italiani e mi sono chiesto: ma davvero occorre uno psicologo per gestire la “tensione” e lo stress durante una competizione?Psicologo (1)

Data la mia scarsa (eufemismo per non dire inesistente) formazione da psicologo, ho deciso di svolgere qualche ricerca.

Inizialmente la psicologia dello sport cercò di stabilire delle relazioni significative fra personalità e sport, utilizzando soprattutto strumenti diagnostici provenienti dalla psicologia clinica, ma successivamente si è specializzata nell’ambito della preparazione mentale e sulle abilità che possono essere incrementate nello sportivo, vale a dire l’attenzione, la concentrazione, la motivazione, la gestione dello stress e dell’ansia ed altro.

Lo psicologo dello sport è un dottore in psicologia (più spesso ad indirizzo clinico o del lavoro) che si dedica alla formazione, tramite interventi individuali o di gruppo, dello staff dirigenziale, degli arbitri, degli allenatori, istruttori, degli atleti di sport individuali o di squadra.

Norman Triplett nel 1897 effettuò i primi studi sulla performance in situazioni di agonismo,tuttavia i primi programmi di preparazione psicologica per gli atleti furono sviluppati solamente a partire dall’inizio degli anni ’70 e da allora hanno trovato una sempre più ampia diffusione nello sport di livello assoluto.psicologo Attualmente si distingue fra lo sviluppo di abilità psicologiche di base e programmi di tipo avanzato. Si tratta di programmi sport specifici che richiedono di aver acquisito le abilità tecnico-sportive e tattiche tipiche della disciplina praticata e che si rivolgono a coloro che svolgono un’attività agonistica significativa e orientata al miglioramento continuativo. La programmazione di questa attività richiede allo psicologo dello sport la conoscenza delle determinanti psicologiche della disciplina nella quale andrà a operare e la costruzione di un programma avanzato che si basa sull’allenamento di scelta degli obiettivi, gestione dello stress, concentrazione, gestione della gara, spiegazione dei risultati delle prestazioni agonistiche, stile di vita adeguato alla carriera sportiva e il rapporto con l’ allenatore.

La ricerca dell’eccellenza nello sport ha avvicinato molti atleti alla psicologia dello sport, spinti dal desiderio di migliorare anche le loro potenzialità mentali e psicologiche, così da aumentare la probabilità di poter fornire prestazioni eccezionali nelle competizioni. Infatti, da almeno 30 anni la preparazione psicologica è entrata a far parte dell’allenamento svolto dagli atleti che si preparano per gareggiare nelle competizioni più importanti (campionati del mondo e olimpiadi). Si può dire che talune di queste manifestazioni, in particolar modo le olimpiadi, rappresentano delle occasioni non solo per es20120214_fiaccola_olimpica_d0primersi al massimo delle proprie possibilità ma per fare la gara che vale una intera vita sportiva. Se lasciamo da parte il calcio, per la maggior parte degli atleti delle altre discipline sportive i giochi olimpici esercitano un fascino unico e permettono al giovane di raggiungere una popolarità eccezionale e di maturare, nel contempo, maggiori compensi economici.

L’allenamento psicologico consiste nell’apprendimento e nell’ottimizzazione delle competenze mentali e relazionali specifiche per lo sport praticato dall’atleta che sono indispensabili per avere uno stile di vita adeguato agli obiettivi agonistici che esso si propone di raggiungere. Si tratta di competenze già in qualche misura padroneggiate dall’atleta che ha raggiunto un livello medio/elevato di abilità tecnico-sportive e che si trova in quella fase della sua carriera sportiva in cui deve allenarsi per migliorare la sua abilità a gareggiare e a sviluppare una mentalità vincente.

Per stabilire un programma di allenamento psicologico avanzato è necessario conoscere le implicazioni psicologiche tipiche di una determinata disciplina sportiva. In termini generali si può affermare che gli sport prevalentemente tattici e situazionali e quelli di precisione richiedono livelli di attivazione più bassi rispetto a quelli caratterizzati da potenza e velocità che richiedono livelli elevati di attivazione. Ciò non è comunque valido per tutti gli sport poiché ad esempio il rugby, sport di squadra, richiede livelli particolarmente elevati di attivazione. Se si analizzano i vari gruppi di sport in linea generale si può affermare che:

• Sport di coordinazione del corpo nello spazio

La prestazione migliore che è possibile fornire corrisponde con l’esecuzione ideale, ma nel contempo l’atleta sa che è quasi impossibile da raggiungere, poiché anche un minimo errore comporta la riduzione della qualità della prestazione nonché del punteggio che la
giuria gli attribuirà.

• Sport di combattimento

Richiedono un livello elevato di reattività mentale e fisica per tutta la durata del combattimento. Notevole importanza ha la capacità di sapere anticipare le mosse dell’avversario. Data la brevità dello scontro è decisiva l’abilità a sentirsi in gara e efficaci sin dai primi istanti del combattimento.

La gara è per un atleta un “esame” che mette in discussione i suoi investimenti fisici e psicologici, con una risonanza sociale ed economica spesso elevata; egli può avere una risposta d’ansia normale o patologica alla gara (Ford, 2000).

Per gestire lo stress da gara viene utilizzato il “Mental Training”, un efficace insieme di strategie che mira aPsicologo di base supportare gli sportivi nel gestire adeguatamente le proprie abilità mentali utili al miglioramento delle prestazioni in allenamento e in gara, attraverso un dettagliato programma che, oltre a sensibilizzare l’atleta sulle funzioni, processi e strumenti di tale percorso, interviene su specifici fattori psicologici in modo progressivo, allo scopo di apportare passo dopo passo, importanti novità nel modo di allenarsi e di gestire lo stress. Agendo, ad esempio, sulle possibili componenti ansiose ed ansiogene che ostacolano una performance ottimale.

Un programma di Mental Training prevede normalmente:

1) Conoscenza dell’atlea (dati anamnestici, colloquio preliminare, primi test e questionari sulle abilità mentali)

2) Goal setting: definizione degli obiettivi a breve, medio e lungo termine. Gli Obiettivi SMART

3) La comunicazione ed Il Self -talk: il pensiero positivo

4) Fattori di distrazione prima e durante la gara e ristrutturazione cognitiva sui pensieri distraenti

5) Gestione dell’energia (arousal); iper e ipo – attivazione

6) Abilità attentive (focus interno ed esterno)

7) Gestione dell’ansia e dello stress. Rilassamento distensivo ed Imagery (situazioni stressanti)

8) Profilo Emozionale

9) FIVE STEP STRATEGY (Preparazione, Visualizzazione, Concentrazione, Esecuzione, Valutazione)

10) Risultati conclusivi, presentazione di una relazione comprensiva del profilo psicologico dell’atleta

Grazie a questi “step” lo psicologo sportivo può aiutare l’atleta ad ottenere performance ottimali per il suo campo.psicologo (2)

Insomma, per concludere, sicuramente gestire in modo corretto lo stress dovuto alla competizione è molto importante e un aiuto può permettere di “dare quel qualcosa in più”.

Per rispondere alla mia domanda di inizio articolo, in cui mi chiedevo se fosse veramente necessario uno psicologo dello sport per affrontare una competizione, la risposta che più mi viene spontanea è “a quanto pare per atleti di un certo livello che devono affrontare competizioni importanti, sì”.

-Bazinga-

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La via del pugno cinese in Giappone. Il Karate

Documentandomi in giro per la rete. è risultato difficile descrivere in modo dettagliato l’evoluzione del karate a causa della mancanza di fonti storiche certe. Ci sono ipotesi riguardo alla nascita e alla diffusione iniziale di quest’arte marziale, utilizzando rare fonti costituite perlopiù da racconti e leggende trasmessi oralmente. Solo dal XIX secolo in poi, la storia risulta più chiaramente documentata.6
La storia del Karate parte da un arcipelago a sud del Giappone, le isole Ryukyu e in particolare dall’isola più grande: Okinawa.

Non è possibile affermare con certezza se esistesse già una forma di combattimento autoctona; tuttavia, si crede che fosse già praticata un’arte “segreta”: l’Okinawa-te.

L’arcipelago delle Ryu-Kyu era diviso in tre regni.
Per molti secoli Okinawa aveva mantenuto rapporti commerciali con la provincia cinese di japan-okinawa-mapFukien e fu così, probabilmente, che conobbe alcune arti marziali cinesi come il chuan-fa / Quanfa (trad. “Via del pugno”, nato secondo la tradizione nel monastero di Shaolin, in Cina) modificandolo col passare degli anni secondo metodi locali. La stessa isola di Okinawa era divisa in tre principati: Hokuzan (Montagna settentrionale), Chuzan (Montagna centrale) e Nanzan (Montagna meridionale).

Sho Hashi, re di Chuzan, nel 1429 unificò i tre regni di Okinawa e in seguito anche tutti i regni delle Ryu-kyu. Poco più tardi, Sho Shin (che regnò dal 1478 al 1526), per mantenere la pace, intorno al 1500 vietò il possesso di armi, che furono raccolte e chiuse in un magazzino del castello di Shuri. Dopo la battaglia di Sekigahara, il clan vittorioso dello shogunato Tokugawa concesse al clan Shimazu, che governavano il bellicoso feudo di Satsuma nell’isola di Kyūshū, di occupare le Ryu-kyu: 3.000 samurai compirono l’invasione senza incontrare valida resistenza (1609).

Poiché fu rinnovato il divieto di possedere armi e persino gli utensili di uso quotidiano come bastoni e falcetti dovevano essere chiusi nei magazzini durante la notte, gli abitanti si dedicarono in segreto allo studio di una forma di autodifesa da usare contro gli invasori.

Nacque così la scuola Okinawa-te («mano di Okinawa»), detta anche tode (“mano cinese”), che si divideva in tre stili: Naha-te, sul modello del kung fu della Cina meridionale, Shuri-te e Tomari-te, sul modello del kung fu della Cina settentrionale. Va precisato che Naha era la capitale dell’isola di Okinawa, Shuri la sede del castello reale e Tomari la zona del porto (oggi Shuri e Tomari sono quartieri di Naha).

L’ideogramma te letteralmente indica la parola “mano”, ma per estensione può anche indicare “arte” o “tecnica”; il significato di Okinawa-te, quindi, è “arte marziale di Okinawa”.

Essa era praticata esclusivamente dai nobili, che la tramandavano di generazione in generazione.

Nei secoli XVII e XVIII le condizioni dei nobili di Okinawa cambiarono notevolmente, l’improvviso impoverimento delle classi alte fece sì che gli esponenti di quest’ultime iniziassero a dedicarsi al commercio o all’artigianato.
Fu grazie a questo appiattimento tra i due ceti che l’arte “segreta” iniziò a penetrare anche al di fuori della casta dei nobili.

La conoscenza del te restava uno dei pochissimi segni di appartenenza passata a un’elevata posizione sociale. Per questo motivo i nobili, ormai divenuti contadini, tramandavano quest’arte a una cerchia ristrettissima di persone.

Così facendo si è avuta una dispersione dell’arte originale e furono gettate le basi per i vari stili di karate. Per la nascita del tode furono fondamentali anche le arti marziali cinesi: le persone che si recavano in Cina, anche per due o tre anni, avevano modo di studiare le arti marziali del luogo.

Tuttavia le arti marziali cinesi si basavano su concetti filosofici e su un’elaborata concezione del corpo umano, pertanto era impossibile imparare le arti cinesi nello spazio di un solo viaggio, e con ciò i viaggiatori giapponesi appresero quel che potevano. Si pensa quindi che sia stata possibile una sorta di fusione tra le arti arrivate dalla Cina, che comunque costituivano uno stile non metodico, e il te okinawense. Una prova di questo importante scambio culturale tra Okinawa e Cina è fornita da un maestro vissuto in epoca successiva, Anko Itosu. In uno scritto di suo pugno vede le origini del karate nelle arti cinesi e sottolinea come non abbiano influito né il Buddhismo né il Confucianesimo.

Il primo maestro delle Ryu-kyu fu Kanga Sakugawa di Shuri (1733-1815), signore di Okinawa ed esperto di te; era soprannominato “Tode” perché combinò il Quanfa, da lui studiato in Cina, con le arti marziali di Okinawa.
Egli fu il primo maestro che provò una razionalizzazione e una codificazione delle arti diffuse ad Okinawa. Tuttavia trascorse ancora qualche decennio prima dello sviluppo di una vera e propria scuola di tode.

Il fondatore di questa scuola fu il suo allievo Sokon Matsumura (1809-1901); egli fu maestro del grande Anko Asato (1827-1906), a sua volta maestro di Gichin Funakoshi(1868-1957).

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a sinistra Sokon Matsumura – al centro il Re Sho Tai – a destra Anko Itosu

Il suo stile di tode era chiamato Shuri-te (arte marziale di Shuri) in quanto Matsumura era residente proprio nella città di Shuri.
Egli basò il proprio insegnamento su tre punti fondamentali: la pratica dell’arte autoctona di Okinawa, l’arte giapponese della spada e la pratica delle arti cinesi. Nacque così il vero e proprio tode. Anko Itosu (1832-1916), allievo esterno di Matsumura, grande amico di Asato e anch’egli maestro di Funakoshi, introdusse il tode nelle scuole di Okinawa e mise a punto i cinque kata detti Pinan (presenti nel karate degli stili come il Wado-Ryu e Shito-Ryu; questi kata cambiarono poi il nome in Heian).

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Gichin Funakoshi

Il primo maestro di Okinawa a recarsi in Giappone fu Motobu Choki di Shuri (1871-1944), straordinario combattente, ma illetterato, che perciò non ottenne grande successo come insegnante. Solo più tardi, con l’arrivo dell’allievo Funakoshi, divenuto poi maestro, l’Okinawa-te si diffuse nel paese del Sol Levante.

Nel 1921 passò per Okinawa il principe Hirohito, diretto in Europa, e nel castello di Shuri, Funakoshi organizzò un’esibizione che fu molto apprezzata. Lasciato l’insegnamento, nella primavera del 1922, Funakoshi fu scelto per eseguire una dimostrazione di karate alla Scuola Normale Superiore                                                           Femminile di Tokyo, dove si stabilì.

Nel 1922 scrisse “Ryu-kyu kempo”: karate (karate significava ancora «mano cinese» e i nomi dei kata erano quelli originari di Okinawa). Nel 1935 pubblicò “Karate-do kyohan”, molti anni dopo tradotto dal maestro Tsutomu Oshima.

I primi anni furono difficili soprattutto sotto l’aspetto economico. Nel 1931 il karate fu ufficialmente riconosciuto dal Dai Nippon Butoku Kai, l’organizzazione imperiale per l’educazione della gioventù.

Karate-Do

Ideogramma “Karate”

Nel 1936, grazie al comitato nazionale di sostenitori del karate, venne costruito il dojo Shotokan a Zoshigaya, sobborgo del quartiere speciale di Toshima a Tokyo. “Shoto” era lo pseudonimo che Funakoshi usava da giovane nel firmare i suoi poemi cinesi, “kan” invece vuol dire “sala”.

Per facilitare la diffusione del karate in Giappone, gli ideogrammi tode e te, vennero assemblati. Si ottenne così la parola tote, ma l’ideogramma to, che si leggeva anche “kara” (ma col significato di «vuoto» sia nel senso di «disarmato», che in riferimento allo stato mentale del praticante, concetto Zen di mu-shin), fu cambiato con questa lettura. Pertanto l’ideogramma finale risultò karate. Vennero inoltre cambiati in giapponese i nomi originali delle tecniche e dei kata per renderli più comprensibili.

Nel dopoguerra il generale Douglas MacArthur proibì la pratica delle arti marziali, ritenute l’anima dello spirito militarista nipponico, ma a poco a poco l’interesse per il karate crebbe anche in Occidente e Funakoshi fu ripetutamente invitato a dare dimostrazioni.

Gichin Funakoshi muorì nell’aprile del 1957 all’età di 89 anni, sulla sua tomba fu scritto: “Il Karate non conosce primo attacco” (Karate ni sente nashi).

Prima di morire Gichin lasciò la direzione dello stile Shotokan al figlio Yoshitaka, che trasformò profondamente lo stile elaborato dal padre, inserendovi attacchi lunghi e potenti, che facevano uso di nuove tecniche di calci.

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Yoshitaka Funakoshi

Yoshitaka morì di tubercolosi nel 1953.

Oggi giorno la federazione mondiale del karate (WKF) è riconosciuta dal comitato olimpico internazionale come responsabile per le competizioni di karate ed ha sviluppato regole comuni che governano tutti gli stili, tuttavia va precisato che il karate non ha lo status olimpico. Nella 117ª sessione del CIO (luglio 2005), nella votazione per determinare se diventare sport olimpico, più della metà dei voti fu favorevole, ma era necessario il raggiungimento di almeno i due terzi dei votanti.

-Bazinga!-

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Budo: l’invenzione della tradizione

Il Budo è la via marziale giapponese.

Il termine è composto dagli ideogrammi kanjibu” e “do”,

Ideogramma "Budo"

Ideogramma “Budo”

che si possono tradurre come “Via marziale”, “Via della guerra”, oppure “Via che conduce alla pace”, “Via che conduce alla cessazione della guerra attraverso il disarmo”.

In contrasto con l’aura di antichità di cui il budo è circondato, la sua disciplina marziale è uno dei tanti esempi moderni di tradizione inventata (l’utilizzo del termine risale all’ultima decade del XIX secolo).

“Bu” nella lingua e nello spirito della tradizione giapponese, significa letteralmente “fermare, arrestare, lasciare le lance“. L’ideogramma “do” significa letteralmente “ciò che conduce” nel senso di “disciplina” vista come “percorso”, “via”, “cammino”, in senso etico e morale. Uscendo dal significato strettamente letterale nella concezione della tradizione marziale giapponese, il significato del termine bu” implica quello di “abbandono delle armi” e quindi di “disarmo” e non di “guerra“.

sumoIl termine segue l’evoluzione che il concetto di “arte marziale” ha subito nella cultura giapponese attraverso il tempo, passando dall’originale concetto del “bujutsu” (“jutsu – arte”) a quello attuale del “budo” (“do – via”).

Il “bujutsu” era l’apprendimento di diverse tecniche marziali che consentivano di vincere il nemico in battaglia, difendersi dalle aggressioni, offrire i propri servigi ad un signore ed aumentare il proprio potere personale. Le armi usate erano molto varie: spada, arco, lancia, bastone, catena, coltello fino ad oggetti apparentemente innocui come il ventaglio o la pipa. Quando il “bujutsu” assume come fine non più la tecnica ma l’educazione etica e morale, esso diventa la via da perseguire per la formazione di uomini di valore, e si parla quindi di “budo”.

Il 23 aprile 1987 viene approvato  dal Nippon Budo Kyugikai uno Statuto del Budo, un documento che descrive lo spirito del budo tradizionale per le popolazioni occidentali:

  • Obiettivo

Il budo si pone come obiettivo di coltivare il carattere, migliorare la capacità di giudizio e formare individui di valore, attraverso l’addestramento di mente e corpo con le tecniche marziali.

  • Pratica

Durante la pratica bisogna sempre rispettare l’etichetta, osservare i principi fondamentali ed allenare mente, tecnica, e corpo come un tutt’uno, senza perseguire mere abilità tecniche.

  • Competizione

In occasione di competizioni o esibizioni di kata, si metterà in mostra con il massimo impegno lo spirito del budō appreso nel lungo addestramento e, al contempo, si manterrà sempre un atteggiamento misurato, senza arroganza in caso di vittoria né rimpianto in caso di sconfitta.

  • Dojo

Il dojo è il luogo in cui si addestrano la mente e il corpo. Vi si rispettano la disciplina e l’etichetta, si osservano i principi di silenzio, pulizia e sicurezza, ci si impegna a mantenere la solennità dell’ambiente.

  • Insegnamento.

L’istruttore dovrà sempre sforzarsi di forgiare i caratteri, impegnarsi ad addestrare mente e corpo, continuare ad approfondire le conoscenze tecniche, non consentire che l’attenzione si focalizzi su vittorie e sconfitte o sulla tecnica, e soprattutto mantenere un comportamento adeguato al ruolo di modello, che egli ricopre.

  • Diffusione

Quando si promuove il budō bisogna valorizzarne i principi tradizionali, contribuire alla ricerca ed al consolidamento della didattica, ponendosi in un’ottica internazionale, e contemporaneamente impegnarsi per il suo sviluppo.

Le arti marziali giapponesi sono state tramandate fino ad oggi mantenendo inalterata la loro caratteristica principale, che risiede nel fine ultimo di far progredire lo spirito, attraverso il rafforzamento fisico del corpo e l’apprendimento della tecnica. Di conseguenza, l’approccio con welcome-to-sogo-budo-edinburgh1l’avversario deve essere dettato non da ostilità, ma piuttosto da un senso di rispetto e di gratitudine: a conclusione di un combattimento in cui ognuno ha dato prova delle proprie capacità senza risparmiarsi, nasce spontaneo il desiderio di un ringraziamento che riconosca all’avversario tutto il suo valore.

Ecco dunque che, infine, si può aspiarare alla costruzione di una società pacifica in cui valorizzare se stessi e gli altri.

-Masajuro Shiokawa, Presidente della Fondazione Nippon Budokan-

La filosofia della “Corretta Vittoria”

Ogni giorno sentiamo parlare molto di “vittorie”, siano esse di tipo sportivo, politico o anche solo personale (perchè no?).

Tra le arti marziali ce n’è una che ha fatto suo un principio di “Corretta Vittoria”: l’Aikido.

In questa disciplina marziale il successo nell’azione di disimpegno dal combattimento è indicato come il traguardo della corretta vittoria (“masakatsu”), per raggiungere la quale occorre allenare non solo il corpo ma soprattutto lo spirito per conquistare la padronanza di sé stessi al fine di conseguire la capacità interiore della rinuncia al confronto, privilegiando sempre ed in ogni caso la strada del superamento del conflitto attraverso il disimpegno dall’antagonismo e dal combattimento.aikido

In questo modo l’Aikido persegue un tipo di difesa che vanifichi l’attacco dell’avversario controllando la sua azione fin dal suo insorgere, senza giungere a produrgli dei danni e delle offese: il praticante si pone quindi nella condizione di salvaguardare la propria incolumità permettendo all’avversario di desistere dai suoi propositi offensivi.

L’applicazione tecnica dell’aikido consente di scegliere una condotta d’intervento sull’azione avversaria anche solamente per annullare gli effetti potenzialmente dannosi e in secondo luogo consente l’eventuale recupero dell’avversario nei confronti delle sue relazioni con il praticante in quanto l’avversario è ancora in tempo a scegliere non solo di desistere, ma può ancora anche scegliere di lasciarsi di buon grado condurre verso il concepimento di un bene comune superiore a quello del conflitto da lui originato.

AikidoÈ questo il modo in cui, entro certi limiti, l’Aikido può consentire di rispettare l’integrità dell’avversario offrendo nel contempo a chi lo pratica la possibilità di sottrarsi agli effetti dannosi dell’attacco da parte di terzi.

L’aspirazione a realizzare queste condizioni rendendo possibile porre in atto la propria difesa senza dover obbligatoriamente ricorrere all’offesa, è il traguardo spirituale ed il valore etico e morale che l’Aikido propone ad una società civile.

Naturalmente questo concetto viene tramandato anche in molte altri discipline marziali, per esempio il kung fu, ma oggi mi piaceva vedere il mondo dal punto di vista di una disciplina nota per le sue movenze eleganti ed armoniose (se praticato come si deve ;p)

-Bazinga!-

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L’Importanza delle Arti Marziali Giovanili

Sempre più ricerche scientifiche condotte da psicologi e pediatri confermano gli effetti benefici che le Arti Marziali hanno sui bambini e ragazzi nell’età dello sviluppo.

Bambini in allenamento

Bambini in allenamento

Secondo uno studio condotto dalla University Medical Center di Amsterdam in quanto sport le discipline marziali migliorano il flusso sanguigno e l’ossigenazione del cervello, riducendo lo stress e migliorando l’umore e la propensione ad applicarsi allo studio. Ma questo è solo l’inizio dato che sul piano psicofisico sono numerosi gli effetti benefici che si riscontrano nei bambini e nei ragazzi che praticano il Kung Fu, il Judo, il Ju Jitsu o il Karate, come per esempio il miglioramento delle capacità relazionali e comportamentali.

Gli studi scientifici sull’effetto benefico delle Arti Marziali e degli sport da combattimento nei bambini e nei ragazzi adolescenti vengono condotte da

Wushu / Kung Fu

Wushu / Kung Fu

alcune tra le più celebri università statunitensi già a partire dagli anni ’50. Queste ricerche hanno dimostrato un incremento della capacità di concentrazione, della disciplina, delle capacità comunicative e relazionali. Ulteriori effetti benefici riguardano l’autostima e la capacita di combattere il bullismo attraverso la pratica di queste discipline.Gli alunni imparano a sviluppare un’organizzazione mentale, che regola importanti sequenze psico-motorie, favorendo, quindi, la propensione ad assumere processi decisionali con differente grado di responsabilità.
E’ stato infatti dimostrato che le Arti Marziali producono una stimolazione celebrale per quelle aree del cervello in cui avvengono i processi di calcolo e di analisi fondamentali nelle materie scientifiche.

Karate

Karate

Lo sviluppo delle capacità di aggregazione e di socializzazione è l’altro cavallo di battaglia di queste discipline, che stimolano l’interazione collaborativa ed il confronto con i compagni, facendo acquisire coerenti comportamenti ispirati alla sicurezza e al rispetto.

Ulteriori studi universitari sui ritmi cerebrali nel campo delle neuroscienze dimostrano come attraverso queste discipline i ragazzi imparano a controllare gli impulsi che possono essere causa di gravi conflitti a scuola, a metabolizzare l’eccesso di aggressività distruttiva e riutilizzarla in modo positivo.

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Boxe

Ragazzi con comportamenti violenti, sottoposti liberamente a sessioni di allenamenti nelle discipline del Judo, del Ju Jitsu e del Karate, dopo un anno di impegno hanno ottenuto dei risultati lusinghieri sul piano sociale. Miglioramenti sul piano sociale sono stati registrati anche nei ragazzi, vittime del bullismo, che incrementando la sicurezza in se stessi, l’autostima e le capacità relazionali hanno in prima persona contribuito ad abbattere questo fenomeno quanto mai attuale.

Del resto oltre all’importanza nello sviluppo del bambino, il settore giovanile è di estrema importanza anche per le discipline marziali stesse, non caso infatti negli ultimi anni sempre più le federazioni puntano e cercano di promuovere attività indirizzate ai più giovani. Solo partendo a costruire basi solide fin da piccoli si potrà poi portare la disciplina a crescere.

A questo punto una domanda su tutte sorge spontanea: “Come scegliere il corso più appropriato per mio figlio?”

Che sia Kung Fu, Karate, Ju Jitsu, Judo, Muay Thai o Lotta l’importante è che i ragazzi siano guidati da figure carismatiche e preparate sia sotto l’aspetto tecnico che morale.

Muay Thai

Muay Thai

Secondo una mia opinione puramente personale, questa risulta la caratteristica più importante di un corso di Arti Marziali proprio perché gli istruttori rappresentano un punto di riferimento per i ragazzi che spesso trovano nel proprio maestro un modello di adulto complementare al ruolo dei genitori che può aiutarli nello sviluppo dei delicati cambiamenti psico-fisici.

-Bazinga!-

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